Quando Hitler faceva la fame

by Salvatore Lucignano

Mentre infuria il dibattito su un quesito erotico esistenziale, ovvero se sia più dannoso farsi le canne o andare a mignotte, e sul significato polivalente dell’amore prostituito si sprecano saggi e sberleffi, riportiamo la macchina del tempo a quell’imbrattatore di cartoline, che sbarcava il lunario nella Vienna postbellica, provando a non morire di fame. Annodando un filo tra quei tempi grami e la rubiconda vicenda che stiamo interpretando, scopriamo che i sogni nei cassetti assomigliano sempre più ad un piatto regolare, mentre la gloria si gioca all’azzardo ogni possibilità di assegnarsi con equità.

Un tempo vidi un signore, dal volto ancora giovane, ma in realtà ormai vecchio, di anni e di vita, cucire insieme delle fotografie ingiallite. I suoi occhi provavano a raccontarmi della potenza evocativa di un film artificioso, laddove sembravano fallire le parole ed erano proprio quegli occhi, i suoi, a chiudere idealmente quella collana di ricordi. Lo sapeva e rideva, a bocca chiusa, mentre rifiniva l’opera. In quel testo strano erano ritratti uomini morti, eppure quel paziente lavorio di rilegatura provava a dirmi quanto avessero ancora da dire i protagonisti di quegli eventi. Una di quelle icone ritraeva proprio l’imbianchino viennese, nelle vesti di agitatore, un’altra raccontava una madre, scheletrica in viso, che offriva un piccolo frutto ad un fagotto, presumibilmente suo figlio. Erano immagini che raccontavano vita e morte, trasmettendo all’osservatore tutta la brama sopita dal ventre pieno e dalla mente svuotata di obiettivi da raggiungere.

Stetti a guardare quel filo doppio, uscii, salutai, continuai a passeggiare per i viali enormi della mia amata città, pensando a quanto fosse ormai vano raccontare fantascienza e storia. Guardando le vetrine, ancora opulente di zuccheri scarsi, pensavo a quanto potesse raggranellare un narratore dei nostri giorni, o un drammaturgo, e me li immaginavo tutti inesorabilmente intenti a cercare di mettere insieme mille euro, mese dopo mese, per tutti i mesi che compongono quaranta anni di lavoro.

La fatica del denaro è una compagna di angosce da cui non si può sfuggire mai, nemmeno quando ci si rifugia nei flash della vita mondana. Essa ti ricorda di cacciare ogni giorno, di non abbandonarti all’idea che esista un mezzo per superare l’eterno bisogno di cibo e riparo, ma nelle ristrettezze dei confini mondiali ormai noti, è come se venisse meno ogni possibilità di unire utile e dilettevole. L’eroe romantico di carne e sudore, l’onesto carpentiere, consuma il suo mezzogiorno, sotto un sole che brucia e non abbronza, mentre i muscoli antiestetici che gli accarezzano le vene si prendono gioco delle palestre adolescenziali. Intanto, da quella foto ingiallita, lo sguardo folle dell’affamato viennese ammonisce le pedine del ventunesimo secolo, che cercano le migliori locande leggendo recensioni e combattono la glicemia, dimenticando il potere dei legumi.

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