Siamo uomini o caporali?

by Amerigo Ciervo

In Siamo uomini o caporali?, un film del 1955 diretto da Camillo Mastrocinque e interpretato da Totò e da Paolo Stoppa, ognuno nei due ruoli contrapposti  (l’uomo e il caporale),  vi è una scena che trovo, tra le millanta girate dal sublime attore napoletano, straordinaria.

Totò Esposito, per sopravvivere, durante la guerra, offre i suoi servigi a quanti non possono attendere nelle lunghe file per il pane davanti ai negozi, e, per superare le persone che lo precedono nella fila, ricorre a travestimenti e a piccoli trucchi, invitando, per esempio, le persone che gli stanno davanti a indirizzare il loro sguardo verso l’alto, verso un inesistente “puntino nero”, lì, nel cielo: forse un aeroplano che potrebbe preannunciare un probabile, ennesimo bombardamento.

Ovviamente non c’è nessun puntino nero. Ma, nel frattempo, con levità, Totò sposta le persone, che all’inizio ci cascano, guadagnando i primi posti nella fila.

La scena del film di Totò ci aiuta a comprendere quello che sta accadendo nella politica italiana di questi tempi.

C’è un signore che, per una curiosissima e sventurata congiuntura astrale, si trova a fare il ministro degli interni di uno dei primi paesi del mondo. Per rammentarlo prima a se stesso e, poi,  a noi e, magari,  per darsi pure  un tono,  si presenta ogni giorno en travesti,  indossando giacconi con le mostrine dei vari corpi di polizia.

E, in tutti i luoghi in cui si reca a sproloquiare, ci indica “un puntino nero”, guadagnando, giorno dopo giorno, posti migliori nei cuori, nella mente o, più verosimilmente, nella pancia di una sempre più larga fetta di elettorato che, a sentire i sondaggisti, non vedrebbe l’ora di andare a depositare nell’urna il proprio voto per questo nuovo di zecca  uomo della provvidenza.

In realtà, Salvini è il politico più vecchio tra i signori che sono al governo, essendo stato eletto consigliere comunale a Milano, nel 1993, ed europarlamentare, la prima volta, nel 2004.

Purtroppo, come la storia insegna, non sono rari i periodi in cui, nella coscienza di molti, alla ragione si sostituiscono gravi forme di irrazionalismo, i frutti malsani di una pericolosa miscela di inquietudini e di insicurezze, anche comprensibili seppure non giustificabili, che finiscono per sfociare in terribili e preoccupanti fenomenologie di aggressività e di pura cattiveria.

E’ ovvio che, con simili comportamenti, diventi complicato entrare in rapporto utilizzando logiche e ragionamenti condivisi. Sicché il “puntino nero” serve sostanzialmente a creare ideologia: una raffinata e intelligente manovra di spostamento dell’attenzione, con la complicità convinta e interessata di moltissimi mass-media, dimentichi del fatto che la loro funzione, in una società libera e democratica, sia quella di “servire i governati e non chi governa”, a cui andrebbe riservato sempre, ogni giorno che dio manda sulla terra, il classico trattamento di “barba e capelli”.

Una questione estremamente seria, per esempio, di cui non si parla affatto e verso la quale non si rivolge la benché minima attenzione, molti preferendo guardare verso il cielo, verso quei “puntini neri” che tanta paura nelle anime dei più stanno incutendo, è quella relativa alla richiesta di “autonomia differenziata” per  Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna.

Pochi riflettono sul fatto che  tale progetto di ristrutturazione istituzionale avrebbe, come prima  conseguenza, la frammentazione dei servizi. Ci sarebbe una regionalizzazione della sanità, della scuola, delle reti energetiche e delle infrastrutture, con un regime fiscale nuovo, destinato ad arricchire ancora di più le regioni già  ricche e ad impoverire oltremodo le regioni più povere del paese, ossia quelle meridionali.

Dunque, una crescita a dismisura delle diseguaglianze e, cosa ancora più grave, la fine dell’unità della Repubblica, da leggere  –  sottolinea il costituzionalista Massimo Villone,  su Il Manifesto, invitando il presidente della Repubblica a porsi il problema  in tal senso  – non come mera contiguità e continuità territoriale, ma anzitutto come parità nei diritti di cittadinanza.  Che unità politica sarebbe mai quella di un paese in cui le diseguaglianze su diritti fondamentali si rivelino tecnicamente incolmabili e che, per di più,  a causa delle regole che si vogliono introdurre, potrebbero solo acuirsi e diventare più profonde e gravi?

Come si può immaginare, il Mezzogiorno – già in una situazione gravissima, con servizi pubblici nettamente inferiori allo standard nazionale – sarebbe la vittima sacrificale di una tale metamorfosi istituzionale. E se la si smettesse di guardare verso i fantomatici puntini neri che l’homo novus  della politica italiana quotidianamente ci indica,  sarebbe il caso  di  chiedere al campano Di Maio se anche l’autonomia differenziata stia  dentro il contratto di governo pomposamente siglato nel maggio dell’anno scorso.

E se la risposta fosse positiva, occorrerebbe chiedere, sempre al campano Di Maio, se abbia ben compreso il senso di quanto firmato e sulle future, possibili conseguenze. E se il buon Di Maio – comprensibilmente impegnato nella sua alta attività di governo – fosse impossibilitato a risponderci, potremmo chiederlo ai cosiddetti portavoce, alle gentili senatrici e all’ottimo deputato del movimento grillino che sembra stiano davanti a noi “come esseri viventi, ma se fai loro qualche domanda, solennemente tacciono.”

Oppure ci potrebbero rispondere  i tanti politicanti,  nostri compaesani e concittadini,  che, in queste settimane,   stanno provando a zompare sul carrettone leghista, magari ci fosse ancora qualche strapuntino disponibile.  O, infine, la risposta ci potrebbe venire da qualche esponente del PD, a proposito dell’analoga scelta compiuta (si spera solo per motivazioni esclusivamente elettoralistiche) dal signor  Bonaccini, il presidente dell’Emilia-Romagna.  Ma immagino che non avremo risposte. Da nessuno. E immagino ancora  che non saranno pochi  i  “puntini neri” che ci verranno mostrati, nel cielo grigio dell’Italia  di questi tempi.

Primo Post Scriptum. Apre il cuore alla speranza che un tale, di nome Bassetti,  sia diventato ministro della Pubblica Istruzione. Proprio come Benedetto Croce e Giovanni Gentile. O  come Tullio De Mauro. Altro che Stati Uniti, è l’ Italia il paese dove  anche l’impossibile si fa possibile.

Secondo Post Scriptum. Sabato sono stato in piazza, a Roma. A marciare per il lavoro, con i lavoratori, con i giovani, con i pensionati e con i sindacati. L’intervento di un ex-operaio come Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, come Giuseppe Di Vittorio, ha aperto il mio cuore alla speranza che l’impossibile possa farsi possibile. A condizione, però, che si ricominci a fare seriamente politica e si esca, una volta per tutte, dal gioco al massacro e dalla sindrome della faida che stanno distruggendo il campo di chi vorrebbe, per l’Italia e per l’Europa, più democrazia e più libertà ma, soprattutto, più uguaglianza.

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