Elogio del disfattismo

by Salvatore Lucignano

Un europeo su quattro a rischio di povertà, disoccupazione giovanile alle stelle, pensioni/miraggio, inquinamento, terrorismo, bassi stipendi, poche certezze, debiti pubblici alti, corruzione endemica, benaltrismo galoppante, al contrario dell’inflazione, andata a svernare in un altrove più irraggiungibile dell’inizio della creazione.

Ma si, smettiamola di elogiare la vita, pensiamo piuttosto a quanti problemi abbiamo, dedichiamoci ad essi con la consapevolezza che il fato agisce in modo del tutto casuale. Dio non solo gioca a dadi, ma potrebbe addirittura essersi divertito a configurare un grosso acquario, un guscio, che noi datiamo a circa 13,8 miliardi di anni fa, in cui le immagini si proiettano lungo una parete tridimensionale, mentre i supersolidi anche liquidi, nel mondo bidimensionale e realmente reale, ridono di questo film.

Nemmeno scrivere i libri ha più senso e non solo perché nessuno li legge, ma soprattutto perché non si riescono a vendere, a meno che tu non sia già famoso per altri meriti. E’ l’epoca della massima incertezza, della casualità divenuta legge, della sopravvivenza come unico merito e della soccombenza come minima immoralità, espressione suprema dell’oblio e dell’esecrazione.

Nessuna pista ciclabile, nessun orto, nessuna ricetta priva di grassi idrogenati, può sfuggire al vorace rumore del nichilismo totalizzante. L’ottimismo di maniera sta diventando fuori moda, nell’ombra ci sono orde di disfattisti sociopatici, pronti a tutto pur di lavorare per il trionfo del nulla.

Abbattendo tutti i nostri idoli, facendo a pezzi i miti millenari che ci hanno sostenuto, convertendoci pian piano all’odore delle case dei vecchi, per paura che ci chiamassero “rattusi”, abbiamo perduto ogni orientamento. Vaghiamo, raminghi, su un piano inclinato, conteggiando i chilogrammi di carne che ogni iena del branco filmato nel Serengeti consuma quotidianamente.

Riserve, contenitori intangibili, naturalezze distanti, prive del profumo di carogna della savana. Spruzziamo deodoranti, disinfestiamo tutto, temiamo le malattie e non usiamo preservativi, per il brivido dell’HIV.

Ecco, adottiamo comportamenti perniciosi, da untori, ci affidiamo al sarcasmo, confrontiamo le fotografie delle star ingrassate e bolse con quelle patinate e fasulle che ci spingevano a digiuni irrealistici. Non sappiamo cosa donare ai nostri figli, perché viziarli è impossibile e dannoso, affamarli è indecente e pericoloso. Abbiamo consumato ogni possibile angolo di ruralità, terminato tutti i percorsi bucolici, ormai dotati di segnaletica in legno, consumato ogni possibile misfatto, per non ritrovarci grotteschi, ad imitare a nostra volta qualcun altro.

Siamo goffi, come pinguini che tentano di raggiungere la vetta della scogliera, e i mari in cui nuotare, dimostrandoci migliori, si vanno sempre più prosciugando, mentre urla mute raccontano l’angoscia di questi attimi eterni, dilatati, dilaniati dalle mascelle dello squalo di Spielberg, anch’esso rigorosamente in plastica.

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