La linea editoriale della rai…che non c’è (2)

by Francesco De Felice
La linea editoriale della rai…che non c’è

“Cultura, cultura, cultura…lo vuole un consiglio? Non dica troppo spesso questa parola in questi corridoi…” segue risatina sarcastica…e si, proprio così mi disse un dirigente della Rai tra i tanti sparsi nei corridoi dove andavo a portare il mio curriculum tentando di lavorare nei primi anni.

Be’ se proprio devo fare un pettegolezzo, un altro, cui ero andato a proporre una biografia sceneggiata di Goldoni, si divertiva a sbeffeggiare davanti a me un suo sottoposto ricordandogli che ormai non era più in grado di sostenere dignitose performance sessuali con la moglie…segue risatina sarcastica…be’ si, in effetti non erano proprio gli uomini giusti al posto giusto, ma “che ce frega? Basta che vince ‘a Roma!!”.

Eh si, era l’alba degli anni ’90 e si andava consolidando lo schema che avrebbe annientato qualsiasi speranza di riportare la Rai sulla retta via che altro non era che quella originaria.

Seguirono anni difficili, di smarrimento, Berlusconi forse non aveva vinto la guerra ma sicuramente aveva vinto le elezioni e più di una battaglia, così dopo il 1994 la conquista della Rai fu cosa possibile.

Ad ogni cambio di governo in azienda si assiste ad un cambio di fasce dirigenziali che molto spesso porta all’epurazione di tutti quelli che semplicemente lavoravano con quei dirigenti ma vengono timbrati ed etichettati come uomini di tizio e di caio, quindi non affidabili, che poi siano bravi e seri professionisti a chi importa? Ciò accadde molto meno con l’ingresso degli uomini (e le donne) di Berlusconi in Rai.

Troppo furbo e intelligente per “buttare il bambino con l’acqua sporca” e sebbene il Berlusca si trovò ad ingoiare qualche boccone amaro (Santoro non riuscì a farlo fuori) trovò conveniente mantenere una serie di asset produttivi strategici e cominciare un percorso di “fusione” tra i suoi che da Mediaset o da altre fonti varcano la soglia di viale Mazzini e quelli già ben piantati in Rai come alberi secolari le cui radici spaziano da via Teulada a Viale Mazzini e a Saxa Rubra.

Anche perché tra queste sequoie si mette in luce una fascia larga di giornalisti e dirigenti ben felici dell’arrivo del nuovo padrone e pronti a dargli tutto lo spazio possibile ed assumere colori e forme di un ricco assortimento di tappetini dove il nuovo che avanza potrà pulire anche le scarpe.

L’Italia e gli itaGLiani…un grande paese di…camaleonti ! Altro che santi ed eroi!!

Altro momento interessantissimo: e ora? come si fa? come facciamo noi dirigenti che fino a ieri eravamo a Mediaset a lavorare onestamente per questa azienda (la Rai) mentre il nostro sponsor è comunque il re incontrastato della concorrenza?

Semplice: non si fa!

Cominciano quindi trame e sotterfugi per organizzare i palinsesti in maniera tale che non ci sia troppa concorrenza tra una prima serata ed un’altra e a favore di chi? Devo rispondere? Una è una tv pubblica e si mantiene in buona parte con un canone pagato dai cittadini, l’altra si mantiene solo sulla vendita di spazi pubblicitari i cui prezzi aumentano in base agli ascolti…vi viene qualche idea di quale tra le due era favorita nella creazione dei palinsesti?

Ah già, la linea editoriale…

Si alternarono direttori e presidenti per trovare “la quadra” ad un’intricata situazione che “forse” una semplice legge sul conflitto d’interessi avrebbe potuto e dovuto sanare.

Mi ricordo che si propose a tal fine, Massimo D’Alema, che riuscì anche a vincere e diventare Presidente del Consiglio ma della legge sul conflitto d’interesse…neanche l’ombra!

Da qui in poi la storia si appiattisce fino a diventare noiosamente ripetitiva nei suoi cliché scontati: ogni elezione c’è un avvicendamento di fasce dirigenziali affinché tutto cambi perchè nulla cambi.

La parte del leone la fa sempre la politica, qualsiasi linea editoriale, progetto culturale, non fa in tempo a nascere perché sopraffatto da “altre priorità”.

Pian pianino il progetto di Berlusconi si è in buona parte realizzato, nel frattempo il mercato televisivo è profondamente cambiato, molte cose non sono più importanti come prima.

Ma nel frattempo i programmi televisivi chi li fa? Oddio, è vero, la produzione…vabbè fateli fare ad amici che siano in grado di toglierci questo “fastidioso contrattempo” !!

E lo so, sembra troppo poco per liquidare una macchina produttiva da milioni di euro ma la mia impressione è sempre stata questa: la produzione? Un fastidioso contrattempo!!

Un dato però resta certo e immutato. L’Italia non ama la cultura.

L’italiano è preda di altri istinti: lo svago, la vacanza divertente, il ristorante, la goliardia, le belle donne e su tutto il calcio!

I dati di ascolto dei programmi parlano chiaro: il calcio è stabile da sempre, la fiction e l’intrattenimento dettano legge, il food e i programmi di cibo in generale mantengono la posizione sempre piuttosto bene, i programmi di cultura del territorio sono gli unici che riescono a far passare qualcosa di culturale in maniera leggera e fare discreti ascolti.

Ma sempre poca roba davanti ai grandi numeri della tv spazzatura!

Documentari, biografie, programmi d’arte, di musica, di letteratura…ascolti non rilevanti ai fini del mercato pubblicitario. E dunque bisogna lottare affinché resti il principio che la Rai continui a fare soprattutto servizio pubblico che includa anche e soprattutto programmi culturali che forse non venderanno tanta pubblicità, ma senza i quali ci spegniamo come candeline al vento davanti ad un mare di rumore inutile, tronisti e veline che non fanno altro che alimentare modelli sociali assolutamente inutili.

Ma perché poi raccontare, seppure per sommi capi, questa storia recente della Rai e della sua confusione editoriale?

Perché è una metafora di dove stiamo andando e da dove siamo venuti.

Ci si continua ad accapigliare su termini come “populismo” “sovranismo” etc… credo che anche questa sia una deviazione che sposta il fuoco da una verità storica.

Il popolo, nonostante preferisca “Giovannona coscia lunga” a Tarkovskij è rimasto profondamente deluso dalle “élite politiche e culturali” che hanno preceduto questo momento.

E ora sta manifestando la sua delusione.

Poco gli importa del sovranismo e del populismo, è semplicemente deluso e, come ha fatto in passato, spera in qualcosa che si propone di restituirgli la fiducia.

In questo la “linea editoriale che manca” poteva e potrebbe avere un ruolo fondamentale, centrale! Recuperare la memoria storica degli eventi con onestà intellettuale!

Ricordare agli italiani qual è veramente la loro forza, le proprie radici, le origini. E’ importante recuperare onestamente la memoria. E’ l’unico modo che abbiamo per fare ordine obiettivamente nei nostri cassetti, scrivanie o…armadi e ricominciare a riempirli con cose nuove.

Questa non è un’opinione, è storia.

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