Un Governo da paura

by Giovanna Palermo
un governo da paura

“Piantala con questi mostri, Michele. I mostri non esistono. I fantasmi, i lupi mannari, le streghe sono fesserie inventate per mettere paura ai creduloni come te. Devi avere paura degli uomini, non dei mostri”, così rispondeva il papà del piccolo protagonista del romanzo “Io non ho paura” di Niccolò Ammaniti.

Parole rassicuranti e intrise di profonda verità.

Del resto, gli inventori delle “fesserie inventate per mettere paura” conoscono bene il valore della paura, di quest’emozione inesauribilmente pervasiva, fonte di ansia e di incertezza.

E i “creduloni” nel nostro bel Paese sono circa il 20% della popolazione!

Di questa particolare forma di “paura”, ne sanno qualcosa i detentori del potere: essa produce insicurezza, certo, ma anche un particolare tipo di coesione sociale. Questa intensa emozione, infatti, lega, unisce, produce condivisione tra coloro che la provano.

Se in passato il legame sociale era prodotto dall’individuazione di principi e valori scelti come base per la convivenza, oggi, che viviamo un profondo mutamento socio-culturale, non siamo più in grado di selezionare e individuare una scala di valori e principi generalmente condivisi, così assistiamo alla frantumazione sociale.

E, così, intorno alla paura, in particolare dello straniero povero, una parte della società si riaggrega, si riavvicina, rinsaldando un legame perduto. Dalla paura del singolo si passa così a quella della comunità e, controllarla significa avere il potere di gestire una comunità attraverso le sue emozioni.

Già in passato lo spauracchio dell’insicurezza era stato utilizzato per far passare una certa politica criminale e per focalizzare l’attenzione su alcuni fenomeni allarmanti e far calare il buio su tutti gli altri. All’occorrenza si seleziona un fenomeno su cui costruire la paura, che il singolo cittadino deve avvertire come un rischio reale, come imminente e, soprattutto, in grado di aggredirlo personalmente.

E quale occasione migliore, allora, che quella di strumentalizzare l’immigrazione, trasformandola in fonte di paura?

La focalizzazione dell’attenzione si sposta, così, sui barconi di disperati che affrontano il mare a costo della vita, che diventano i “nemici dell’ordine pubblico”, i “folk devils” di Stanley Cohen (1972), capaci di produrre ondate di «panico morale».

Ad arte è stata, così, orchestrata la campagna salviniana contro i disperati che incutono paura, perché aggressori, stupratori, ladri e che, nella migliore delle ipotesi, ci rubano il lavoro. E tutto ciò attraverso strumenti di varia natura, sia mediatici che informatici, che producono narrazioni distorte e parziali, quando non completamente false.

I sentimenti di insicurezza, del resto, “… rafforzano il potere dei governanti, legittimano l’esercizio dei poteri dello Stato e mutilano le libertà individuali …” (Mythen e Walklate, 2008).

Così i problemi dell’Italia si esauriscono nei migranti, poveri e disperati che arrivavo dal mare.

Sono sparite le mafie, gli uomini bianchi violenti contro le proprie donne, quelli truffatori, quelli evasori, quelli dei traffici illeciti: tutto il male è stato etnicizzato, è diventato nero.

Tutti i problemi, economici, sociali e culturali hanno, finalmente, trovato un responsabile.

Sul finire dell’estate un segnale rassicurante: un sussulto di responsabilità di Roberto Fico, Presidente della Camera dei Deputati che, a margine di una visita a un bene confiscato alla criminalità ad Afragola, in provincia di Napoli, ha pubblicamente dichiarato: “Se non ci liberiamo dalle mafie non saremo mai un Paese libero, è questa la vera emergenza del Paese”.

Staremo a vedere, se a queste dichiarazioni seguiranno azioni conseguenti o se saranno state, ancora una volta, parole di circostanza, che lasceranno la scena a Salvini, alla sua comunità di frustrati muscolari, al suo governo da paura.

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