La nuova Sinistra…post socialista

by Amerigo Ciervo
La nuova Sinistra…post socialista

Sembra che “socialismo” sia diventata proprio una cattiva parola. Una parola da evitare con cura. A ben vedere, una delle poche realmente “rottamate” dalla pratica e, di conseguenza, dal vocabolario politico di gran parte della sinistra italiana.

Del resto, “Rem tene, verba sequentur (possiedi con chiarezza il concetto e le parole  verranno da sole), pensava il vecchio Catone.

In questi ultimi decenni – almeno dall’inizio degli anni Novanta in poi, prima, molto prima, dell’apparizione nei cieli d’Italia del senatore di Firenze, Signa e Scandicci -, per tantissimi dirigenti e militanti di quella che fu la gloriosa sinistra italiana, il concetto politico “rottamare il passato, il vecchio, il desueto” è stato, all’inizio, covato con cura silente e, in seguito,  progressivamente reso esplicito e chiaro.

Guai, perciò, oggi a parlare di “socialismo”.

“Democrazia” funziona molto meglio. Per non parlare di “libertà”, soprattutto, al di là della sua polisemica significazione, nell’accezione economicistico-finanziaria.

O, addirittura, negli ultimi, terribili tempi, di “nazione sovrana”.

Nel confronto, invero un po’ moscio, degli aspiranti segretari del PD, nessuno dei tre s’è detto disposto verso una possibile “patrimoniale”. Il che non dovrebbe stupire. Nessuno dei tre ha pronunciato la parola proibita.

Un amico un po’ puntuto mi ha chiesto, in privato, come mai avessi seguito il confronto su SKY. La risposta forse gli sarà parsa banale. A chi avesse a cuore le sorti dell’Italia e dell’Europa e fosse convinto che la differenza tra gli uomini e le donne non si misuri sulla prospettiva dell’alto e del basso, ma su quella che contrappone il conflitto tra i pochi ricchissimi e la grande massa dei poveri e degli impoveriti, ho risposto,  il destino di un partito dove ancora allignano, almeno si spera, alcuni valori fondamentali (ne cito uno, a caso: uguaglianza sostanziale oltre che formale, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, rimozione di tutti gli ostacoli economici e sociali  che impediscono lo sviluppo concreto di tutti i cittadini e di tutte le cittadine alla vita del Paese) deve interessare e come.

E qui casca l’asino. Nel senso che, a mio  giudizio,  libertà e democrazia sono le precondizioni della politica. Poi un partito dovrebbe, oltre ad avere dei valori di riferimento, mettere in pratica delle analisi serie e rigorose sulla società in cui si vive, in diretto collegamento con i gruppi sociali e gli interessi che s’intendono rappresentare, cercando la collaborazione di intellettuali, certo non neutrali, ma lasciati liberi nel loro lavoro di indagine e di ricerca. Insomma occorrerebbe ritrovare la necessità di un approccio storico-materialistico, con una serie di categorie interpretative in grado di riappropriarsi di taluni concetti forse  troppo frettolosamente messi in soffitta.

Così come ha fatto, qualche sera fa, per il ciclo delle lezioni dell’ANPI, con  la sua lezione esemplare, il professor Emiliano Brancaccio, economista della Università del Sannio. Utilizzando dati empirici e non interessate narrazioni, Brancaccio ha dimostrato come la politica che s’ispira alla globalizzazione e il sovranismo reazionario, con le tinte xenofobe e fasciste che conosciamo, non siano altro che due facce della stessa medaglia e, dunque, il risultato di una lotta tra capitali.

L’economista napoletano ha correttamente premesso che, per lui, “classi sociali” e “lotta di classe” sono concetti scientifici. Ovviamente, la sua affermazione è un’ipotesi e non va intesa come un dogma. Troveremo altri cento economisti che affermeranno il contrario. Il problema è sapere quali categorie interpretative utilizzano i partiti e i movimenti che dicono di voler rappresentare gli interessi dei ceti più deboli della società.

Tornando al confronto degli aspiranti segretari democratici, abbiamo saputo con certezza che, dovessero andare al governo del paese, non ci sarà nessuna “patrimoniale”. Ma nessuno ha spiegato – qualora fossero ancora quelle le finalità generali del partito democratico – come cogliere, per esempio, il valore dell’eguaglianza sostanziale che padri e madri costituenti, settant’anni fa, intesero sistemare con cristallina chiarezza nell’articolo 3. In TV s’è parlato solo del rapporto con il movimento grillino e, naturalmente, del convitato di pietra (il già citato senatore toscano). Un po’ poco. Con ciò non intendo dire che i tre siano uguali. Un segretario nuovo di zecca potrebbe essere un buon segnale. Ma il problema dell’analisi e delle categorie interpretative resta. Tutto intero.

E’ stato, a tale proposito, molto più chiaro l’arcivescovo Accrocca, parlando, qualche giorno fa, del rapporto tra san Francesco e la ricchezza. Verso la quale, come si, sa, il ripudio fu radicale. In ogni caso, l’arcivescovo non corre – meno male per lui –  per diventare il segretario del PD. E si occuperebbe, secondo alcuni, di opium des Wolks, di “oppio dei popoli”.

Ma la politica consisterebbe pur sempre nel saper declinare, insieme, utopia e realismo. Se ci si ferma solo al secondo corno del dilemma non cambierà mai “lo stato delle cose presenti.” E socialismo, in fondo, resta ancora, nonostante tutto, una bella e buona parola.

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