Siria: il Califfato sconfitto a Baghouz. Onore a Lorenzo Orsetti morto per sconfiggere l’Isis.

by Valentina Spata

Ciao, se state leggendo questo messaggio è segno che non sono più a questo mondo. Beh, non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così; non ho rimpianti, sono morto facendo quello che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, eguaglianza e libertà. Quindi, nonostante questa prematura dipartita, la mia vita resta comunque un successo e sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra. Non avrei potuto chiedere di meglio.” Lorenzo Orsetti

Lorenzo Orsetti, fiorentino di origine, aveva da poco compiuto trenta tre anni. Stava facendo quello che pochi non avrebbero mai fatto e che molti pensavano fosse una follia fare. Combatteva contro le truppe jihadiste, supportate dall’esercito turco, in Siria.

Aveva raggiunto la Siria un anno e mezzo fa per lottare al fianco dei curdi. Poi la morte, a pochi giorni dalla sconfitta del Califfato, a Baghouz, l’ultima roccaforte dell’Isis a est dell’Eufrate.

Una battaglia, quella contro l’Isis, che l’occidente ha lasciato nelle mani dei curdi. A loro, l’arduo compito di sconfiggere la più potete delle forze terroristiche del mondo.

Ricordo ancora la liberazione di Raqqa, la città siriana occupata e controllata dall’Isis nel gennaio del 2014. Si dice, ma non si ha la certezza, che da questa città i miliziani progettavano gli atti terroristici destinati proprio ai paesi occidentali.

Per molti anni abbiamo versato lacrime per le vittime della civilissima Europa, quelle del Bataclan, di Londra, di Bruxelles, di Barcellona, mentre la Siria veniva rasa al suolo. Poi sul campo contro l’Isis, abbiamo lasciato in prima fila ed in solitudine i curdi insieme ai popoli uniti del Rojava ed alcuni internazionali che hanno sacrificato la loro vita in nome della libertà di tutti i popoli del mondo.

Le forze democratiche siriane, a maggioranza curda, hanno espugnato le cellule di Daesh in molte zone della Siria. Anni di guerra, di massacri, di sangue, di distruzione. E mentre gli Stati Uniti, sostenuti dall’Europa, si dichiaravano a fianco delle forze democratiche siriane, volando nei cieli senza sporcarsi mai le mani, i curdi guidati dalle donne più tenaci e più forti affrontavano la guerra contro l’Isis finanziato dalla Turchia di Erdogan. La stessa Turchia che l’Europa generosa finanzia per gli accordi commerciali e militari ma soprattutto per tenere i profughi intrappolati dentro i confini del suo Paese. Lo stesso Erdogan che odia i curdi e i loro successi nel nord della Siria e che ordina mutilazioni, stupri ed epurazioni a loro discapito.

Tutti ricordiamo le immagini dello stadio di Raqqa, luogo di terribili esecuzioni dell’Isis, con le bandiere di Sdf (forze siriane democratiche) che svolazzano sopra le macerie della città dei fantasmi. Spicca il volto sorridente di Rojda Felat, comadante delle Ypj (Unità femminile di protezione del popolo curdo) che ha guidato le operazioni militari nella riconquista di Raqqa e nella sconfitta del Califfato. Un volto che ha fatto il giro del mondo, reso noto da tutte le fonti internazionali. Quel volto oramai lontano dai riflettori che dopo la brillante missione si sono spenti.

Le donne curde sono sempre state in prima fila non solo per l’affermazione dei diritti delle donne in Medioriente e nella lotta a difesa del popolo curdo ma anche per la battaglia contro il terrorismo. Hanno lottato per il loro popolo e per i nostri popoli. La loro è stata una lezione che va oltre ogni “quota rosa” della civilissima Europa. Una lotta che intendeva estirpare la violenza in tutto il mondo e che ha sconfitto più volte il Califfato in Siria.

Una impresa quasi impossibile sostenuta da un occidente che aveva perso ogni speranza. Qualcuno aveva parlato di un suicidio assistito che però si è trasformato in un trionfo epocale.

Quelle donne che abbiamo tanto ammirato per un breve periodo di tempo, perché si sa quando non si tratta di noi a dimenticare è sempre più facile, sono le stesse che l’esercito di Erdogan ha ucciso ad Afrin il 18 marzo del 2018, esattamente un anno prima della morte di Lorenzo.

Non vi ingannino i nostri sorrisi, siamo morte tutte. Ci hanno violentate, ammazzato di botte e sparato. Hanno mutilato i nostri corpi, i nostri genitali e li hanno filmati, ridendo di noi. Eravamo colpevoli perché ribelli, colpevoli perché donne che imbracciano un fucile. Ma eravamo solo ragazze che volevano lottare per la libertà. Abbiamo pensato di farcela nell’indifferenza del mondo che ci ammirava ma che non ci ha mai sostenute. E’ andata a finire come sapevamo, non era una favola la nostra. O forse lo è stata per il tempo di liberare Raqqa dall’Isis”.

Il coraggio di queste donne è lo stesso che ha avuto Lorenzo Orsini, un italiano che ha deciso di fare la sua piccola ma importante parte, quella di aiutare il popolo curdo a liberare gli ultimi metri quadrati in Siria occupati dall’Isis, nella Provincia orientale di Deir el-Zor a pochi passi dal confine Iracheno e dalle sponde dell’Eufrate. Un italiano a fianco di quelle donne curde che è stato ucciso il 18 marzo del 2019.

“E anche quando tutto sembra perduto – ci dice Lorenzo – e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano insormontabili, cercate di trovare la forza e di infonderla nei vostri compagni. È proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve”. E ricordate sempre che ogni tempesta comincia con una singola goccia. Cercate di essere voi quella goccia”

Una goccia che in quella tempesta feroce ha provato, nell’indifferenza totale di tutti noi, a difendere la libertà di un popolo e la sicurezza di tutti i Paesi del mondo. Lorenzo, che per lo Stato italiano viene considerato “soggetto socialmente pericoloso” da tenere in osservazione, è morto in guerra sacrificando la sua vita per infondere quei valori che tutti noi abbiamo perso.

Uguaglianza, solidarietà, cooperazione, fratellanza. Valori su cui è basata anche la nostra Carta Costituzionale e su cui l’Europa è nata non come espressione geografica ma come appartenenza di storie, culture e popoli.

Del resto, come ha raccontato la madre, Orsetti era orgoglioso della sua missione e di quei valori per cui ha combattuto: “Vi auguro tutto il bene possibile, e spero che anche voi un giorno, se non l’avete già fatto, decidiate di dare la vita per il prossimo, perché solo così si cambia il mondo. Solo sconfiggendo l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza. Sono tempi difficili, lo so, ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza; mai! Neppure per un attimo”.

Un uomo morto per una battaglia che non gli avrebbe dovuto appartenere e che invece sentiva sua, come il popolo curdo che ha combattuto senza remore nelle trincee della morte. Una battaglia giusta in un mondo perennemente in guerra che non è mai riuscito a sconfiggere il più forte dei mali, il terrorismo.

Probabilmente Lorenzo non credeva nei confini ma pensava che l’unica vera barriera che divide il mondo sia stabilita dal nostro egoismo, dagli interessi individuali, dalla guerra tra i poveri, dai potenti che alzano muri e non ponti. Per lui quella barriera non esisteva perché ha scelto di non restare a guardare quell’ingiustizia che aveva consegnato al popolo curdo l’onere di sconfiggere da solo il più potente dei gruppi terroristici. Per questo ha pagato il prezzo più alto, con la sua vita ma con l’onore di un uomo che ha avuto il coraggio di sporcarsi le mani e di rimetterci la vita a dispetto dei potenti del mondo che da anni stanno a guardare la ferocia dell’Isis. Quel prezzo che i nostri Governi non hanno voluto pagare rimanendo immobili e versando lacrime di ipocrisia per le centinaia e centinaia di vittime del terrorismo.

L’insegnamento che ci lascia, e che dobbiamo cogliere, è quello di non restare fermi a guardare. Di sconfiggere l’egoismo e di guardare agli altri come a noi stessi. Di essere quella goccia in mezzo al mare che può fare la differenza.

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