Vaste programme

by Alfredo Nazzaro
Transgressing the Boundaries: Towards a Transformative Hermeneutics of Quantum Gravity

Il 6 giugno 1996 usciva, su “Social Text”, Transgressing the Boundaries: Towards a Transformative Hermeneutics of Quantum Gravity, un articolo a firma di Alan Sokal, un professore di fisica alla New York University.

“Social Text”, tra le più influenti riviste di studi sociali postmoderni con una forte influenza femminista, nel 1996, assecondando la teoria costruttivista, pubblicò alcuni numeri dedicati all’antiscientismo che tendevano a ridurre la scienza alla stregua di pura e semplice narrazione letteraria, frutto di opinioni socialmente costruite.

Con lo scopo di contrastare il mainstream dominante e, soprattutto, i criteri di selezione delle notizie da parte delle redazioni giornalistiche, Sokal decise di effettuare un esperimento sociologico inviando alla rivista l’articolo che apparentemente era un articolo di filosofia della scienza ma che, in realtà, era infarcito di enunciati approssimativi, fantasiosi, falsi e in molti casi privi di ogni senso logico, come, ad esempio, che il π euclideo e la legge della gravitazione di Newton dovessero essere considerati come costruzioni sociali oramai sorpassate dal tempo.

Per sostenere le sue tesi, per quanto palesemente fossero dei nonsense, l’autore utilizzò il linguaggio dominante preferito dalle correnti postmoderniste statunitensi, riempiendo l’articolo del termine “femminista” ed usandolo in maniera decontestualizzata, come nel caso di una non meglio specificata ”algebra femminista”.

In effetti, l’articolo venne accettato ed il giorno della sua pubblicazione, Sokal, rivelò, ad un’altra rivista, la vera natura  dell’articolo pubblicato su “Social Text”, descrivendolo come “un pasticcio di ideologie di sinistra, riferimenti ossequiosi, citazioni grandiose e prive di senso, strutturato attorno alle più sciocche frasi di accademici postmodernisti che avevo potuto trovare riguardo la fisica e la matematica”, ponendosi un grande interrogativo: “una rivista di punta consacrata ai Cultural Studies pubblicherebbe un articolo infarcito di assurdità: a) se avesse un certo stile, b) se fosse compiacente verso i presupposti ideologici della redazione? La risposta, purtroppo, è sì”.

Ai Sokal affairs, cioè alla denuncia dei rischi collegati al relativismo scientifico, si arriva attraverso la destrutturazione del concetto di “prova” secondario alla moltiplicazione postmodernista del pensiero nietzschiano che l’oggettività non fosse altro che un’illusione e la verità nient’altro che un insieme di metafore mutabili, la cui base filosofica è costituita dalla dottrina dell’uguale validità.

Secondo tale teoria ci sarebbero molteplici modi, tutti ugualmente validi, di conoscenza delle cose del mondo senza nessun metodo per stabilire quale sia il migliore, e le teorie scientifiche non sarebbero che uno dei molteplici metodi di approccio al mondo essendo interpretazioni equivalenti della realtà.

Pertanto, le ragioni alla base di alcune convinzioni si scollegano dalle nozioni di verità e realtà, (col)legandosi, piuttosto, ad interessi o ideologie e diventando, in questo modo, non epistemiche: non esiste un mondo esterno indipendentemente da noi o, se esiste, noi non possiamo (ri)conoscerlo fino a che non siamo noi stessi a costruirlo, nel momento in cui ne parliamo.

Il costruttivismo sui fatti ci pone di fronte al relativismo globale che presuppone il principio del rovesciamento del rapporto tra teoria e realtà: non è l’analisi della realtà a stabilire quale teoria sia più vera, ma la teoria a “plasmare” la realtà. La realtà perde la sua dimensione oggettiva, diventando soggettiva.

Ogni cosa va relativizzata ad una teoria, ed il criterio di scelta tra le varie teorie è sempre di tipo pragmatico, cioè utilitaristico.

Questo fa sì che l’autorevolezza che deriva dalle competenze venga considerata autoritarismo e parole come oggettività e dati di fatto vengano svuotate di significato per essere considerate dinamiche del pensiero dominante da contrastare.

Ma, se nulla è vero, nessun dato deve essere fornito come prova a sostegno delle proprie convinzioni ed ecco che basta accedere al web per “scoprire” che la maggior parte dei siti, blog e forum sostengono che vaccinarsi fa male, che è una violenza sui bambini, che il vaccino trivalente provoca l’autismo, che 11 vaccinazioni sono un numero spropositato, che le vaccinazioni, negli adulti provocano il cancro e che le vaccinazioni di gregge sono inutili, perché le pandemie sono scomparse solo grazie al miglioramento delle condizioni igieniche e di vita nel XX secolo.

Sul web, i dati e le tesi scientifiche ed una qualsiasi interpretazione ed opinione non suffragata da elementi probanti si equivalgono, perché laurearsi a Cambridge ed Oxford finisce per fornire una preparazione meno attendibile di quella conquistata presso l’università della vita.

L’analisi sociologica dell’oggi che ce lo fa capire con chiarezza: i costruttivisti ed i relativisti sono stati sostituiti dal popolo e dalla “ggente”, ma gli strumenti usati sono gli stessi. La negazione della validità delle prove scientifiche addotte dalla comunità scientifica internazionale, per quanto basate su dati e dimostrazioni rigorose e controllabili, è figlia di una regressione culturale preoccupante che rischia di riportarci indietro nel tempo; alla fine, l’oscurantismo antiscientifico che lega il passatismo anti Ogm alle teorie complottistiche delle scie chimiche o delle lobby vaccinali, al caso Stamina piuttosto che alla Xyella, si nutre dello stesso humus, fatte le debite differenze, del negazionismo dei campi di sterminio.

È in occidente, ed in particolare in Italia, che questa pericolosa sostituzione delle prove con le opinioni appare particolarmente virulenta come conseguenza diretta del ruolo svolto, negli ultimi decenni, dalle televisioni commerciali che hanno contribuito a costruire una Société du Spectacle nella quale lo spettacolo, da insieme e sequenza di immagini, si trasforma in un rapporto sociale tra le persone, mediato attraverso le immagini.

È attraverso la diffusione di informazioni poco qualificate veicolate attraverso le televisioni ed il web, che si manipolano le coscienze, le conoscenze e gli orientamenti politici di larghe fasce di popolazione che, spesso, non hanno gli strumenti culturali per filtrare le notizie.

In questo senso la televisione ed Internet diventano strumenti poco democratici che, attraverso un travaso continuo di concetti come vero, finto, falso, generano una società del risentimento che ha come unico sbocco il populismo demagogico.

Quando la ragione abdica alla superstizione, la situazione rischia di degenerare ed a chi, di fronte ai cancelli dell’Eliseo nel 1947, gli gridò “a morte gli imbecilli”, De Gaulle rispose: Vaste programme. Aveva visto lontano.

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